LESSICO COLONIALE DEL DOLORE
di Alfredo Facchini
Ogni giorno, dalla Palestina occupata arrivano numeri che scorrono rapidi, lisci, senza attrito. “Dozzine di morti”. Una formula mobile, impersonale, che non trattiene nulla.
Poi accade un fatto altrove. A Bondi Beach. Australia. Quindici morti. Il numero viene inciso, pronunciato con lentezza, ripetuto. Quindici volti, quindici storie. Quindici è un numero che si può contare con le dita. Dozzine no. Dozzine è già oblio. Normalità.
Non è una sfumatura linguistica. È una bilancia truccata che pesa il dolore a seconda del passaporto, del colore della pelle, della latitudine. Quando i morti palestinesi diventano “dozzine”, smettono di essere persone. Non interrompono i palinsesti. Non pretendono lutto.
Il linguaggio non descrive soltanto la realtà: la disciplina. Decide chi merita un nome e chi può restare cifra indistinta. Decide quali vite sono raccontabili e quali sono scarti statistici. Non serve mentire. Basta arrotondare. Basta spingere i corpi dentro parole molli.
Quindici morti a Bondi Beach sono una ferita. Dozzine di morti a Gaza sono una routine. E la routine, si sa, non indigna. Si registra. Si archivia. Si passa oltre.
Questo doppio livello del racconto è il cuore della complicità. È la forma lucida della disumanizzazione. Nessuno dice che quei morti valgono meno. Lo si fa capire. Lo si insegna ogni giorno, titolo dopo titolo, lancio dopo lancio.
Chi controlla le parole controlla il perimetro dell’empatia. E quando l’empatia viene dosata, il massacro diventa sostenibile.
Finché accetteremo che “dozzine” basti a raccontare una strage, continueremo a vivere dentro una grammatica coloniale del dolore. E quella grammatica uccide due volte: la prima con le armi, la seconda con il silenzio ordinato delle redazioni.
#AlfredoFacchini
#lessicoColoniale
#PalestinaOccupata
#palestina
#duepesiduemisure

