SULL’ARRESTO DI GRETA
Dallo Stato di diritto allo Stato di paura
L’arresto di Greta Thunberg, avvenuto oggi [23 dicembre 2025] sotto le maglie del Terrorism Act 2000, segna l’inizio di una nuova e pericolosa era: quella in cui la solidarietà viene ufficialmente trattata come terrorismo.
Greta è stata trascinata via dalla polizia della City per aver alzato un cartello. Dieci parole - «Sostengo i prigionieri di Palestine Action. Mi oppongo al genocidio» - sono bastate a far scattare una legge nata per combattere le stragi, oggi ridotta a manganello legislativo contro chiunque osi sfidare l’agenda bellica del governo.
Attraverso l’applicazione della Sezione 13 del Terrorism Act, il Ministero dell’Interno guidato da Yvette Cooper tenta di decapitare i movimenti di protesta sociale.
L’inserimento di Palestine Action nella lista delle organizzazioni proscritte è un’operazione di censura politica mirata a proteggere interessi industriali, blindare forniture militari, mettere a tacere chi indica i responsabili.
Criminalizzare il sostegno ai prigionieri politici è il primo passo verso la messa al bando del pensiero critico. Se un simbolo, una bandiera o un cartello in una piazza pubblica possono portarti in una cella di isolamento, la libertà di espressione nel Regno Unito è, di fatto, un pallido ricordo del passato.
L’arresto di oggi è un avvertimento diretto a tutti noi: vogliono che abbiamo paura di parlare, paura di manifestare, paura persino di mostrare empatia per chi soffre.
Oggi Greta è uscita su cauzione. A marzo dovrà comparire davanti a un giudice. La battaglia legale che inizierà nel marzo 2026 non riguarderà solo una ragazza svedese e il suo cartello. Sarà uno spartiacque. Sarà il processo alla legge stessa.
La nostra solidarietà non è negoziabile perché nasce prima della legge e sopravvive ad essa. Non chiede permesso, non si piega ai decreti, non arretra davanti ai codici penali. Esiste ogni volta che un essere umano rifiuta di voltarsi dall’altra parte.
Chiamare terrorismo un gesto di solidarietà significa riscrivere il vocabolario per rendere accettabile la repressione. Significa svuotare le parole del loro senso e riempirle di paura. Oggi un cartello, domani una voce, dopodomani un silenzio imposto. La linea è tracciata.
La nostra solidarietà non è negoziabile. Il nostro dissenso non è terrorismo.
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#23dicembre2025

